Ho finito!

Mi ha sempre incuriosito il fatto che spesso, quando siamo a tavola, nessuno vuole finire l’ultimo pezzo di qualcosa che sta su un vassoio alla portata di tutti. Casomai si divide di nuovo la porzione in pezzetti ogni volta più piccoli, ma lasciare il piatto vuoto, proprio no!calzone turco

E se provi a chiederlo, peggio ancora. “Vuoi finire quel po’ di frittata?”. Hai usato quella parola: finire. Impossibile. Bisogna ricorrere ai sensi di colpa. “E’ un peccato lasciare queste due foglie di insalata, questi due maccheroni, questa fettina di prosciutto”. E allora, con senso del sacrificio per la famiglia, qualcuno svuota il piatto.

Probabilmente è un’usanza che si mantiene dai tempi in cui il cibo scarseggiava e, allora, si doveva pensare bene a come suddividere il poco che c’era, per sfamare tutte le bocche. E magari era necessario frenare qualche affamato commensale che avrebbe spolverato tutto. Così, l’idea di “finire” è stata ammantata di senso di colpa, si è trasformata in un comportamento da maleducati. Chissà.

Io l’ho fatto un sacco di volte. Fin da piccola, l’idea di finire non mi ha preoccupato molto,  non ho neanche tolto di bocca niente a nessuno. Non è mai mancato il cibo sul nostro tavolo, anche questo è vero. Ma ultimamente mi sono soffermata molto sul senso del “finire”, soprattutto quando scrivo. Si tratta di una meravigliosa sensazione di liberazione. Si scarica una tensione che da tempo premeva da dentro. Si manifesta la certezza di aver compiuto una missione, non importa se in modo imperfetto, non importa il giudizio sulla sua esecuzione. Ciò che importa è quel sentire che è fatta, che è andata, che non c’è niente altro da fare in quel momento. Si è conclusa una esperienza e, quindi, tra poco ne inizierà un’altra!Bagno a Ripoli uliveto

Non è banale quello che sto dicendo, perché associare a qualcosa che finisce, un’altra cosa che comincia è quasi un argomento religioso. Non siamo così abituati, nonostante millenni di catechismo e nonostante tutte le scoperte scientifiche del secolo scorso: “niente si crea, niente si distrugge, tutto si trasforma”. E invece noi continuiamo a pensare che quando una cosa è finita, è finita. Punto e basta. E lo viviamo come una perdita. Lo viviamo in modo doloroso.

Molte volte ho immaginato il momento della mia morte, e qualche volta l’ho pure sognato. Inizialmente era una immagine piena di tensioni, quelle che riconoscevo essere le mie tensioni più permanenti. L’immagine si fermava lì. Non vedevo come andava a finire. Ma negli ultimi anni quel film si è completato e, dopo la tensione iniziale, ogni volta meno dolorosa, appare quella sensazione di sollievo che caratterizza il fatto di finire qualcosa. L’atmosfera si acquieta, il sistema di tensioni si scioglie in un generale “va tutto bene”. E mi auguro davvero che sia così quando verrà il mio momento, che, all’ultimo respiro, io possa pensare solamente: Bene, anche questa volta, ho finito!

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...