L’affetto è rivoluzionario

Dall’epoca in cui abbiamo imparato a dominare il fuoco, l’avanzamento tecnologico non si è mai fermato. Piuttosto si è verificata una accelerazione parabolica che ha travolto lo sviluppo della nostra specie e che negli ultimi decenni ha acquisito proporzioni impossibili da immaginare.

Siamo lo stesso homo sapiens. Quello che faceva le scintille con la selce e la pirite e quello del phone banking. Siamo lo stesso homo sapiens: la stessa specie, la stessa forma mentale. Ma in tutta questa corsa pazza all’evoluzione dei mezzi, qualcosa è rimasto indietro. Qualcosa non si è sviluppato con la stessa velocità, qualcosa è stato considerato meno importante per l’impegno evolutivo, forse perché era intangibile.

Berlino stazione interno

Le rivoluzioni che abbiamo studiato a scuola ci parlano di avanzamento dei mezzi di produzione della società, ci parlano di cambiamento della leadership e di democratizzazione della società, ci parlano di ampliamento dei confini e di sviluppo dei territori. Le rivoluzioni che ci hanno presentato a scuola sono state fatte grazie a grandi condottieri oppure al movimento dei popoli oppressi, a seconda del punto di vista di chi ha scritto quelle storie. Però c’era sempre un movente materiale, di acquisizione di terre, di beni, di tecnologie superiori, di potere. Perfino le rivoluzioni religiose, secondo quanto ci raccontano,  si sono mosse con gli stessi criteri: appropriazione di beni, di potere sulle comunità, di potere sulle coscienze.

E adesso siamo soli. Travolti da tutte queste rivoluzioni storiche, politiche, economiche, religiose, tecnologiche che si sono accumulate. Veloci, veloci, veloci. Siamo veloci nelle nostre risposte. Siamo veloci nelle nostre domande. Ma siamo persi interiormente. E soli.

Non c’è niente di meno rivoluzionario dell’affetto, se lo vediamo nel modo in cui siamo abituati a immaginare le cose.

Silvia 15 maggio 2010 occhi

E invece oggi non c’è niente come l’affetto che possa farci cambiare rotta o che possa svegliarci. L’affetto e la riconciliazione. Riconciliarsi significa comprendere che chi ci ha danneggiato è uno come noi e comprendere che anche noi, senza volere, a volte danneggiamo gli altri e che l’importante è accorgersene e riparare. In realtà è molto più importante accorgerci di quando danneggiamo che di quando siamo danneggiati, ma questa è un’altra storia. La riconciliazione ci permette di non sentirci più circondati da nemici, ma da persone che sono diverse da noi in tanti aspetti ma che soffrono e gioiscono anche loro, come noi. Sentire l’affetto, mostrare l’affetto per gli altri significa collocare il nostro sguardo in un luogo più interno della nostra coscienza, è un atto intenzionale, non ci viene spontaneo, ha bisogno di un tempo. Non si fa per forza, non si fa per finta. Creare comunità legate dall’affetto, al di là delle possibili e probabili differenze di ogni tipo, è un atto profondamente rivoluzionario ed è l’unico che ci può dirigere verso un futuro di evoluzione di questa specie, di questo homo sapiens che anela da sempre di superare i suoi limiti.