Cercavo di dare l’aspirapolvere al piccolo appartamento del mio fidanzato svizzero, un adorabile disordinato accumulatore compulsivo, e ogni volta mi irritavo tremendamente. Dietro la porta ecco due o tre quadri appoggiati alla parete. Molla l’aspirapolvere, sposta delicatamente i quadri senza sbatterli per non rischiare di rompere il vetro, riprendi l’aspirapolvere e pulisci fino all’angolo. E poi rimetti tutto com’era. Sul tappeto del salotto decine di riviste sparpagliate, per non parlare del tavolino davanti al divano, ricolmo di fogli e foglietti, giornali e riviste che asfissiavano il portatile sempre acceso. Raggruppa tutti i fogli e i magazines dispersi sul tappeto e appoggiali sul divano, dopo averlo rassettato adeguatamente, e quindi riprendi a aspirare la polvere. Dietro a un comò di legno pieno di dischi in vinile, di nuovo quadri. Accanto e di fronte allo scaffale dei libri in angolo, scatole di cartone e valigiette chiuse con chissà quali tesori irrinunciabili all’interno. Dall’altro lato uno sgabello bianco di legno, che sarebbe stato perfetto per le mie sessioni di meditazione, occupato però stabilmente da un lampadario vintage polveroso, di quelli con le gocce di cristallo in voga negli anni 50 e 60. Di fronte al divano, due poltrone e un tavolino su rotelle con una stampante laser appoggiata sopra; intorno, nei pochi spazi liberi, lampade di vario genere. Senza contare le cose lasciate nel corridoio di fronte alla portafinestra: un seggiolino con la seduta girevole, una scatola, album di foto ecc. ecc. Tutte cose da spostare e rimettere nel mezzo, perché un posto vero in cui riposare non ce l’avevano. Era qualche anno fa, quando ingenuamente credevo di poter iniziare già la nuova vita insieme, e mi imbattevo in tutti quegli oggetti fuori posto e affermavo, irritata o disperata, che quel salotto per me era veramente troppo “rumoroso”! Che lì dentro non potevo nemmeno mettermi a leggere! E che ogni volta che pulivo, alla fine, mi veniva una voglia pazza di buttare tutto fuori dalla terrazza.
Il tentativo di convivenza è ovviamente fallito e ho ricominciato a oscillare fra l’Italia e la Svizzera più o meno ogni mese. Certo, rispetto ai dieci anni precedenti, in cui oscillavo tra l’Italia e il Perù circa ogni tre mesi, lavorando sia qui che là con efficaci acrobazie, la situazione si era francamente normalizzata. Quando, dopo tre mesi di assenza, rientravo nella mia casa a Lima non sapevo mai chi avrei incontrato dopo aver aperto la porta. Mi sembrava di essere L’ospite inatteso, dato che la vita sociale del mio ex-compagno, musicista e tuttofare, era piena di eventi e di persone. Ora si tratta di un viaggetto di 7-9 ore di treno senza nemmeno il cambiamento del fuso orario, non c’è paragone.
Sono passati i mesi, qualche anno forse, e siamo nuovamente in procinto di iniziare una convivenza con il mio fidanzato che è sempre più adorabile e meno accumulatore, o sempre meno compulsivo. E soprattutto abbiamo imparato ad amarci e accettarci con tutte le nostre particolarità. Adesso il living, che è già un po’ migliorato, non mi spaventa più. Durante le mie frequenti visite, finalmente nel suo salotto “rumoroso” riesco anche a leggere e fare meditazione e a volte anche ginnastica. Scanso le cose ingombranti se e quando ci sono. E mi sono trovata a pensare di nuovo a quella mia irritazione per le cose senza un posto; un’irritazione viscerale e violenta che non c’è più.
Chi lo sa, forse era in atto un inconsapevole specchio che mi faceva identificare con quegli oggetti sempre nel mezzo e spesso ospiti scomodi. Ospiti ovunque e senza un programma fisso di dimora. Quando l’ho pensato mi è venuto da ridere e mi sono sentita molto comica. Una cosa fra le cose che si spostano incessantemente a piedi, in auto, in camion incrociando le traiettorie, su treni e aerei, in uno zoom rapido verso l’alto che risucchiava il mio sguardo in una differente prospettiva. In realtà amo molto il mio nomadismo e la mia riluttanza a mettere radici, ovunque sia; la mia riluttanza a sentire delle radici legate a luoghi e costumi precisi di questo favoloso pianeta. Preferisco immaginarmi un po’ marziana, con le radici all’incontrario, protese verso lo spazio degli universi infiniti. Solo al proiettare la mia immagine lassù nel cielo notturno, fin da bambina e ancora oggi, ho sempre percepito quella indefinibile sensazione di essere veramente a casa.