Introduzione
Un’informazione di massa caratterizzata da contenuti terrorizzanti può innescare effetti psicosociali, capaci di potenziare anche delle reazioni fisiologiche a livello individuale? Due anni di propaganda e anti-propaganda, confinamenti e abbandono a se stessi da parte di molti medici di base, senza dubbio hanno creato un paesaggio mentale dell’era Covid. Sarebbe interessante avere uno studio serio sulla possibilità che questo paesaggio abbia influito a livello fisico sul decorso della malattia, senza togliere niente alla contagiosità o virulenza di ogni patogeno. Qui presento la mia esperienza e le mie riflessioni, limitatissime, ma che magari possono contribuire in qualche modo.
Mi considero una persona sana, ma non è sempre stato facile stare in questo corpo che mi è toccato.
Dopo un’infanzia costellata da tonsilliti feroci (curate con iniezioni mensili di penicillina per un anno), reumatismi infantili, forte meteo-patia e problemi gastrointestinali, a partire dall’adolescenza e per una parte molto importante della mia vita non ho più sofferto di malattie, neanche di quelle che vengono definite come stati influenzali. Molto presto ho smesso l’uso di farmaci di sintesi e degli ormoni (a cui ho manifestato subito una forte intolleranza), lasciando aperta la possibilità di un’aspirina, un antibiotico o un antinfiammatorio nei casi estremi legati in genere ai dolori dentali (altra spina nel fianco che mi ha accompagnato fin da piccola). Ho preferito quindi informarmi e praticare prevenzione con prodotti naturali, con l’alimentazione e poi facendo quella che tutti chiamano una vita sana e piena (privilegiando il senso e la coerenza alla stabilità e la sicurezza). Unico vizio: ho fumato per 22 anni di seguito, escluse le brevi pause dovute a un raffreddore e ho concluso questa esperienza intossicante a 40 anni con una virulenta varicella, presa da bimbi appena vaccinati. Questa malattia mi ha tenuto in casa 3 mesi e, oltre a togliermi il vizio del fumo, ha rinnovato le mie difese immunitarie. Dopo la lettura di molto materiale divulgativo di neuropsichiatria e l’esperienza diretta di lavoro come educatrice in case famiglia psichiatriche e in centri di disintossicazione, ho riflettuto sulla possibilità di prendere almeno un’influenza all’anno. Qualcosa che testasse il mio sistema immunitario e che mi riportasse alla riflessione sulla malattia del corpo, al contatto coi suoi limiti, mantenendo in salute anche la mia mente. Da quel momento quasi tutti gli anni, in autunno o inverno, ho passato 1 o 2 giorni a letto, bevendo tisane e mangiando minestrine, mentre l’arnica omeopatica e il sonno facevano il loro lavoro con gli altri sintomi. Poi è arrivato l’argento colloidale ionico e le brevi influenze si sono ridotte a raffreddori a volte fastidiosi. In questa fase della vita ho vissuto questi stati influenzali come un fenomeno amico, che scandiva un ritmo di osservazione del mio corpo. Da marzo 2020 a novembre 2021, invece, non ho fatto un colpo di tosse, come se mi fossi riprogrammata per non prendere la Covid-19 fino a che non si chiarisse cosa fosse e come curarla. Non ho avuto dubbi che i nostri medici avrebbero trovato presto soluzioni concrete, e così è stato.
A novembre 2021 mi trovavo in Svizzera dal mio compagno Georg e qualche giorno dopo una breve visita a sua sorella, che non stava bene dal giorno in cui avevamo accompagnato la madre all’ospedale per una insufficienza cardiaca, abbiamo iniziato entrambi ad avere dei sintomi influenzali intensi.
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