Il Maestro della Disciplina

(da Nove Storie – inedito)

“La tua richiesta per fare la Disciplina Energetica è stata accettata. Tra qualche giorno ti informeremo su quale Maestro seguirà il tuo processo”. Più o meno così recitava una e-mail in risposta alla mia domanda, fatta di persona poco più di un mese prima a Claudio, amico e Maestro già da qualche anno.

Avevo fatto la mia richiesta spinta da una necessità che ormai era arrivata al limite. La Scuola di Silo aveva aperto le sue porte da qualche anno, ma non mi ero decisa a chiedere di fare la Disciplina perché credevo che i miei impegni sociali e personali non mi avrebbero lasciato il tempo e la concentrazione necessari per svilupparla in modo adeguato. La Disciplina, per quello che avevo inteso fino a quel momento, era una pratica che avrebbe aperto un varco verso la dimensione più profonda di me stessa. Silo aveva ricostruito ben quattro antichissimi percorsi di meditazione che potevano portare a esperienze importanti di contatto col Profondo e, da quando aveva cominciato a costruire la sua Scuola, già una cinquantina di persone, provenienti da diversi continenti e latitudini, avevano portato a termine i loro cammini disciplinari e stavano seguendo nuovi processi. Scoprii che, poco dopo la mia chiacchierata con Claudio, la Scuola aveva chiuso nuovamente le sue porte, forse per avere il tempo di far avanzare i nuovi Discepoli nei loro percorsi. Avevo chiesto giusto in tempo.

Non ci capivo molto, ma ero certa di voler fare quel lavoro, quell’esperienza faceva parte delle cose che dovevo fare in questo mondo e quindi, da dentro, una vocina e un sentimento mi avevano spinto fino a quella chiacchierata. Ma dopo avere salutato Claudio mi ero sentita in completa libertà e in pace con me stessa. Avrei potuto non ricevere alcuna risposta e avrei sentito lo stesso di avere fatto tutto quello che era nelle mie possibilità.

Quando lessi la mail di risposta mi accadde una cosa particolare, sentii che si apriva una specie di finestra dentro al mio cervello e che iniziava a passare aria fresca. Rimasi qualche istante imbambolata davanti al computer osservando quella reazione inaspettata e poi ripresi le mie attività.

Edgardo, un Maestro argentino che aveva vissuto in Italia 30 anni, si era proposto di seguire il mio processo e così, dopo poco tempo, mi organizzai per avere un primo incontro con lui.

Cosa voleva dire seguire il mio processo? Sapevo che la pratica disciplinare si faceva da soli, non avevo immagini precise e non avevo ascoltato le dicerie e le leggende metropolitane che già circolavano in proposito, perché quel rumore di sottofondo prodotto dai “nostri” era una delle cose che non mi era mai piaciuta, nonostante partecipassi al Movimento Umanista ormai da venti anni. Ero quindi completamente al di fuori del gossip, sprovvista di immagini e di risposte pronte. Avevo conosciuto Edgardo molti anni prima e negli ultimi tempi eravamo entrambi impegnati nel Centro delle Culture, un’associazione antirazzista e per la convergenza fra le culture, che lui aveva creato e fondato in Italia. Anche se, da quando era tornato a vivere in Argentina, non ci eravamo visti spesso, nutrivo per lui un rispetto e una stima profondi. Avevo però anche una certa sensibilità verso alcune sue forme, il sarcasmo argentino era anche più acido e graffiante di quello toscano, a cui ero abituata. Mentre da Lima, dove vivevo all’epoca, andavo a Buenos Aires per incontrarlo, avevo ripercorso con la memoria tutti i momenti in cui i nostri cammini si erano incrociati. E, dopo la nostra prima riunione, i residui di insicurezza si volatilizzarono e sentii che stavamo entrando in una relazione di incredibile sintonia. Compresi che solamente io avrei potuto guidare il mio processo, in base alle mie intenzioni più profonde. Il Maestro mi avrebbe accompagnato, a un passo dietro di me, avrebbe introdotto e ricordato i passi del percorso disciplinare, codificati in poche frasi dai documenti allora in nostro possesso. Ma prima di intraprendere la Disciplina vera e propria avrei dovuto prepararmi su tutto il lavoro interno proposto dal sistema di Autoliberazione, per rinfrescare il linguaggio e normalizzare lo stato di veglia. La Disciplina avrebbe buttato all’aria gli schemi e condotto in modo consapevole e voluto verso alcuni stati alterati di coscienza, era quindi necessario prepararsi bene per essere in grado di riconoscere i fenomeni a cui si andava incontro e non scambiarli con semplici suggestioni o manifestazioni di temi non risolti.

Successivamente Silo riaprì la Scuola e modificò l’approccio alla Disciplina attraverso il lavoro di gruppo, senza il rapporto Maestro – Discepolo, ma con la pratica e l’interscambio orizzontale fra i partecipanti, in base a un documento di guida che raccoglieva molte più informazioni e dettagli sulla pratica e che è tuttora di dominio pubblico. Ciò impresse una velocità spettacolare ai processi disciplinari che, fino ad allora, avevano avuto bisogno di diversi anni per completarsi. Quando ciò accadde pensai che era geniale, che quella era davvero la forma più adeguata per far sopravvivere ai tempi e alle generazioni questa antica conoscenza e per traghettarla verso il futuro.

Ma quella non è stata la mia storia. Io ho avuto un Maestro, ed è stata per me un’esperienza straordinaria. Nei tre anni che ci videro svolgere ognuno la sua parte, posso dire di avere percepito un avvicinamento ogni volta più profondo al mio Maestro. La sua immagine dentro di me è stata inizialmente di protezione e di stimolo. Protezione, perché la sola consapevolezza che ci fosse almeno una persona che sapeva, nei dettagli, quello che stavo sperimentando con il mio lavoro, mi faceva sentire più tranquilla, dato che non potevo parlarne con nessun altro. Stimolo, perché le sue domande, spesso più che le sue risposte, mi aiutavano sempre a ricollocarmi nella mia intenzione di partenza, a riprendere il contatto con ciò che mi aveva spinto nella direzione di un approfondimento spirituale.

La sua presenza, come permanente rappresentazione dentro di me e come riferimento esistente al di fuori di me, ha poi acquisito sempre più il gusto della complicità. Quell’essere allo stesso tempo l’indiscusso allenatore e il primo fan che ti guarda e ti aspetta allo striscione che segna l’arrivo della tua corsa, ha caratterizzato il clima della nostra relazione. E l’ultimo abbraccio, dopo avere ultimato il mio cammino, ha segnato per me una fraternità che non potrà essere smarrita, ma solo approfondita al di là del tempo e dello spazio.

Comprendo la necessità di ognuno di noi di avere delle persone a cui fare riferimento, non solo nel caso di situazioni molto importanti o delicate, ma anche nella vita di tutti i giorni. se però queste guide non sono disponibili a condurci nel luogo da cui loro osservano i fenomeni, o non sono capaci di stimolarci a muovere la nostra prospettiva per riuscire a vedere quello che loro vedono, qualcosa di fondamentale viene a mancare. Nell’epoca in cui i cammini spirituali si moltiplicano e si diffondono con una velocità mai vista, è imprescindibile scegliere tra avere fede o avere un’esperienza diretta di crescita spirituale. Mi rendo conto che questa scelta potrà cambiare significativamente la rotta storica dell’essere umano.

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