(da Nove Storie – inedito)
“E quello chi è, mamma?”. La vecchia scatola di cartone aveva di nuovo vomitato sul tavolo un cumulo di foto che si erano sparse dappertutto, mostrando volti e luoghi di altri tempi.
E la mamma ricordava le vecchie storie di famiglia, le storie più incredibili e articolate, la realtà superava qualsiasi immaginazione. Io, ovviamente, le ho già dimenticate tutte, ma mi è rimasto il ricordo piacevole di quelle mattinate passate a fare domande sui volti di tutta quella gente in bianco e nero, con le vesti dalla foggia antica o quanto meno retró. La mamma, instancabile, ripeteva le storie con una narrativa agile e sobria, c’erano anche storie truci di suicidi, di tradimenti, di figli abbandonati. Però c’erano pure racconti dell’inizio del XX secolo, di una Italia agricola da cima a fondo con gli orti, le galline in casa, vite segnate dalla fatica fisica, a cominciare dai chilometri da fare a piedi la mattina per andare a scuola o a lavoro. E poi, improvvisamente, le foto delle feste con i vestitini a pois e le fasce degli anni cinquanta nei capelli. Le estati al mare con i primi bikini e nel sottofondo si poteva udire, lontano, l’eco di uno swing o di un twist veloce.
“E quello chi è?”. Un signore un po’ stempiato, con gli occhiali e la faccia seria, piuttosto arrotondata, sui cinquanta anni. Varie copie della stessa foto, più grande e senza il bordino bianco come molte delle altre. In mezzo alle decine di piccole e a volte ingiallite immagini provenienti da varie epoche, quella foto si appropriava dello spazio e sbucava fuori ogni tanto in modo prepotente, come a dire: ci sono anche io! La mamma glissava e diceva: “Uno zio” o qualcosa di simile. Tanto aveva molte storie da raccontare su tutti gli altri, che a noi passava subito la voglia di indagare. Solo molti anni più tardi io e mia sorella abbiamo saputo che si trattava del nostro nonno di sangue, cioè di suo padre. Un medico friulano che, dopo aver avuto una relazione extraconiugale con la nonna, aveva deciso di non riconoscere sua figlia, nata da quell’amore clandestino. La mamma, che aveva scoperto la sua storia quando era ormai un’adolescente, aveva ricontattato la famiglia friulana. Aveva scritto una lettera e le avevano risposto cortesemente: le avevano spiegato che il padre era ormai deceduto da tempo e le avevano inviato qualche copia di una sua foto. Storie da telenovela, storie di morti, quelle persone ritratte nelle foto erano quasi tutti morte.
Tornare a ricordare le loro storie era una vera festa per noi. Si estraeva a caso una foto dal mucchio ed erano di nuovo vivi, in quel momento ritornavano tutti in vita, con i loro errori, le loro magnifiche opere, le loro gioie e le frustrazioni. E poi le avventure che avevano affrontato nel loro futuro, che era il nostro passato. La morte era forse solo un sentimento di lontananza che aleggiava fra una foto e l’altra, niente di realmente tragico o toccante in confronto al pathos delle vicissitudini, a volte rocambolesche e drammatiche, di alcuni personaggi. Almeno io l’ho vissuto così e mi duole di non aver scritto allora quelle storie, che stanno prendendo il volo con gli ultimi sopravvissuti della generazione che ancora può ricordarle, in modo più o meno fedele.
Le generazioni si succedono le une alle altre, regalano grandi scoperte e lasciano a volte dei conflitti pendenti, degli errori non compresi, dei dolori inespressi o dei danni da riparare. Il processo umano slitta verso l’evoluzione o frena in alcuni casi, ma cavalca sempre le generazioni che si avvicendano nel grande palcoscenico della Storia, ognuna con la sua caratteristica, ognuna con la sua funzione. Nonostante gli scarsi mezzi di comunicazione disponibili fino a poche decadi fa, non è così grosso lo sfalsamento nello stile di vita e nelle capacità di dare risposte concrete, proprie delle generazioni che abitano attualmente il pianeta. Ma con la rivoluzione tecnologica dell’ultimo secolo, senza dubbio si è accelerata enormemente la possibilità dello scambio di informazioni, delle scoperte, degli avanzamenti comuni. E stiamo per assistere alla crescita e allo sviluppo delle prime generazioni planetarie, quelle che, contemporaneamente, sono capaci di usare gli stessi mezzi e di comunicare a livello globale. Quelle che, nonostante parlino idiomi diversi e facciano parte di diverse culture, dominano la stessa lingua digitale. Non è possibile immaginare ciò che potrà succedere da oggi a 20, 50, 100 anni. Così si moltiplicano le previsioni da fantascienza o le minacce di catastrofe o entrambe le cose allo stesso tempo.
Ormai le foto stampate sono una rarità. Ognuno guarda nel suo personale schermo le immagini dei suoi ricordi, custodite gelosamente e individualmente, come facevano i replicanti di Blade Runner. Ma raramente si condividono di persona con gli altri. Certo, lo si fa con molte persone attraverso i social network e ci si espone, talvolta, anche a commenti sgradevoli. Non c’è momento storico importante come questo per aggiornare la memoria e imparare a ricordare e a immaginare. Ricordare, integrare, elaborare il passato della nostra specie con le sue avventure e i suoi drammi. Riconciliarsi con gli errori e ripararli, scoprire la propria funzione come individui, come generazione e come specie e, poi, imparare a immaginare un futuro possibile e buono per tutti, davvero. Provare a pensare a un futuro di evoluzione che metta d’accordo l’avanzamento materiale con l’orizzonte spirituale.
Tra i giovani di queste nuove generazioni digitali mi sembra di sentire il gusto del nuovo che supera il vecchio, non più attraverso la lotta per la supremazia, ma quale frutto della comprensione profonda del ruolo che ci è toccato nell’universo. E questo mi porta a riflettere su di noi, quelli che giovani non sono più, ma nemmeno vecchi. Mi viene da pensare al nostro ruolo, per lo meno, di ponte generazionale.
Saremo in grado di essere davvero i modelli dei nuovi giovani digitali planetari? Quando vorranno sapere tutte le storie e, amabilmente, ci chiederanno: “E quello chi è?”.
Molto bello questo scritto.Io sento spesso il bisogno di rivedere le vecchie foto,è molto importante ricordare per capire e poi lasciar andare e finalmente ricominciare il nuovo ,per reinventare ,attraverso il perdono, la vita;il perdono è l’unica via che abbiamo per rinnovarci veramente,altrimenti proprio come dice l’autrice tendiamo a ripetere i vecchi schemi,e allora forza ,coraggio,proviamoci credendo ci veramente ,come se il cambiamento fosse già avvenuto.Bel pezzo ,molto stimolante ….
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